Pagine

mercoledì 1 aprile 2015

Gala Cox Blog Tour #6 : Mappa dei luoghi

Buongiorno lettori!

Sono davvero felice di ospitare una tappa di questo blogtour legato ad un romanzo davvero molto bello: Gala Cox Il mistero dei viaggi nel tempo di Raffaella Fenoglio è un romanzo avvincente e pieno di misteri, di scienza  e personaggi strani e indimenticabili, ma anche i posti dove i nostri protagonisti si trovano non sono da meno! Infatti oggi vi parlerò dei luoghi del romanzo, con le rispettive descrizioni e immagini così da potervi immergere nel mondo di Gala ;)

Le citazioni sono nei limiti del possibile spoiler free quindi spero che leggendole sarete spinti a leggere il romanzo stesso (anche se le mie amiche blogger hanno scritto post molto interessanti e belli e spero che visto che ormai il blog tour è verso la fine lo abbiate già preso il libro ;) )

Qui trovate la mia recesnione, sotto le tapppe del blog tour e poi tutti i luoghi del romanzo ;) Il vostro preferito qual è???


22 Marzo: Intervista all'autrice - Bookish Advisor
24 Marzo: Approfondimento sui viaggi nel tempo - Barbaggianate
26 Marzo: Test "Che personaggio sei?" + Special - Please Another Book
28 Marzo: Tea Party - Liber Arcanus
30 Marzo: Approfondimento Londra Vittoriana - Over the Hills and Far Away
1 Aprile: Mappa dei luoghi - Bookmarks are Reader's Best Friend
3 Aprile: Caccia al tesoro - AngeTany Blog



La casa di Gala

Girare di notte nella mia zona era più sicuro che stare in Piazza del Comune a mezzogiorno. (...) Era proprio una zona noiosa.
La cosa migliore era la casa più vecchia del quartiere. Una villa di quattro piani, grande come un isolato. Nel suo giardino decine di salici piangenti ondeggiavano al vento tutto il giorno, anche quando apparentemente non ce n'era. Era ricoperta di scura pietra lavica, e dal tetto spuntava un galletto segnavento. Al portone troneggiava un grosso batacchio luccicante a forma di testa di leone. I bambini che ci passavano davanti rimanevano imbambolati, con gli occhi sbarrati. Le madri li dovevano tirar via con la forza.
Era casa mia. 
(...)
Impressionantisssssima.
Così si era espresso Dennis appena giunti davanti alla villa.
Ero nuvolo. C'era vento. I salici ondeggiavano cupamente attorno alla casa. Parevano danzare.
Entrando aveva aggiunto: Disorientatisssima. (...) Da fuori assomigliava alla dimora di una vecchia coppia rattrappita. Dentro era un museo d'arte.
L'entrata a volte, affrescata come la Villa dei Misteri a Pompei.
Il pavimento nero lucido. Rifletteva il chiarore che filtrava dalla cupola in cristallo all'ultimo piano.
Lo scalone elicoidale in lastroni di cristallo.
I quadri alle pareti. Ognuno illuminato da un punto luce ad hoc.
Altri pezzi inseriti in nicchie dorate.


La camera di Gala

"Dì, ma ci vivi da sola in questa stanza?" Chiese Dennis infine fermandosi.
"Sì, perché?" Chi sarebbe dovuto starci oltre a me? Ero figlia unica.
"Non ho mai visto una cameretta di questa grandezza" esclamò stupefatto.
Che cosa avevano di strano le dimensioni della mia cameretta? Doveva servire a contenere la mia roba. E infatti ci stava. Non che avanzasse tutto quello spazio che diceva lui.
A parte letto e armadio e formicaio, disponevo solo di una scrivania per il computer e le cose di scuola e la zona lavoro.
L'attrezzatura di quella parte della camera aumentava di anno in anno. Non sapevo più dove sistemarla. Papà comprava il doppio di utensileria. Una per lui e una per me. Altre volte gli regalavano cose che già aveva, così le passava a me.
Nella libreria della zona lavoro conservavo le riviste specializzate. I manuali. I modellini di quello che poi avevo realizzato a grandezza naturale. (...)
Su un tavolo di legno grezzo avevo piazzato fresatrice, verniciatrice, piallatrice, levigatrice. Le due saldarci, una grande e una per le micro saldature, nonché le pistole a caldo. Il trapano a colonna e la troncatrice erano montati su un banco a parte.
In un carrello mobile tenevo microscopio, provette, vetrini, liquidi di contrasto. Nel cassettone stavano l'attrezzatura chimica e quel poco di roba elettronica che adoperavo. (...)
"Quanto è grande?" chiese Dennis misurandola da parte a parte in lunghe falcate.
"All'incirca quarantacinque metri quadri. Forse di più" risposi "Corrisponde al salone del piano di sotto."
Non che avessi tutto quello spazio che diceva Dennis, quindi.

Lo Studio del padre
Per arrivare allo studio bastava salire al quarto piano della villa. Percorrere il corridoio a mosaico, prendere a destra, andare oltre le scale a chiocciola che portavano al tetto. A quel punto c'era una rientranza da dove di accedeva allo studio. (...)
La porta era di legno di ciliegio, decorata con un motivo a gigli. Qua è la c'erano anche dei tulipani. Soli o raccolti in mazzi, legati da nastri morbidi. (...) La serratura era nascosta dietro un petalo in aulite. Una pressione delicata liberava uno spazio sufficiente per infilare la piccola chiave che tenevo in mano. La misi nella toppa, girai tre volte. (...)
La luce nello studio di mio padre aveva il chiarore irreale delle mattine innevate. La stanza era stata ricavata da una terrazza. Aveva ampie vetrate, il soffitto era in vetro. (...) Alle finestre le veneziane oscuravano la vista. Ma la luce scendeva dritta dall'alto. La scrivania era affollata di carte. I lati del monitor traboccavano di post-it. Per il resto regnava il suo ordine maniacale.E la riproduzione della Grande onda di Hokusai su tutta la parete. (...) Sulla destra un pannello ascorrimento divideva lo studio dal laboratorio.

Lo Studio della madre
Bussai allo studio di mia mamma. Nessuna risposta.
Aprii la porta.
Era un pezzo che non ci entravo.
Mia madre non tollerava l'oscurità.
Sarebbe stato evidente a chiunque avesse messo piede nel suo studio.
Là dentro dominava la luce. Quella camera era persino sprovvista di imposte alle finestre. Ovunque volgessi lo sguardo regnava il candore. Il tavolo era di cristallo, le poltroncine in legno laccato bianco. Il pavimento in parquet sbiancato. La libreria incassata nella parete. Bianca anche quella.
Prima della ristrutturazione della villa quella stanza era un bow window. I proprietari precedenti la usavano come serra d'inverno. Si protendeva verso il giardino, nella parte anteriore della casa. La mamma aveva mantenuto gli infissi originali e le vetrate a piombo con delicati motivi liberty.
Le finestre erano socchiuse. Le tende ondeggiavano al vento gonfiandosi e sgonfiandosi ritmicamente. Erano lunghe dtoccavano fino a terra. E quanto la brezza le riempiva d'aria fluttuavano come vele, arrivando fino a metà della camera.
Affianco alla libreria c'erano un'anfora e un vaso a tronco di cono traboccante di candidi fiori. Erano le sue adorate Etendard de Jeanne D'Arc, rose antiche che coltivava personalmente in giardino. Ispirai la loro fragranza: erano profumatissime.
Tutta la stanza era dolcemente intrusa di quell'aroma.


Londra




La casa di Edvige
Mi trovavo al 49 di Oyster Lane, Whitechapel, Londra. (...) L'appartamento era composto di due stanze. La camera principale aveva un tavolo, tre sedie, il focolare. L'altra il letto, un piccolo armadio e il caminetto. Il tutto in meno di venti metri quadri. La latrina era nel cortile. Probabilmente non sarebbe stata una brutta casetta, se non fosse stata così fredda. I pochi oggetti di Edvige erano sistemati in bell'ordine. Le pareti erano state ridipinte da poco. Aveva messo delle tende di cotone bianco.
Dalla finestra si scorgeva la facciata scura della casa di fronte. Un pezzetto di cielo grigio, è uno sbircio di un vicolo. Il tavolo era ingombro di disegno. Edvige adoperava il carboncino. Vidi scene di vita quotidiana. Battelli fluviali che scorrevano sul Tamigi. Ritratti di operaie al lavoro in fabbrica. Banchi del mercato colmo di mercanzie. Scene notturne di vicoli illuminati da lampioni a gas. Famiglie e servitù a spasso ad Hyde Park.


Casa O' Sullivan
"Edvige, perché non vieni giù a mangiare con noi?" chiese.
"Non sono sola, c'è anche mia cugina" fece lei.
Oliver mi cercò con lo sguardo per la camera. "Ah, ciao. Bè, scendete tutte e due,no?" 
"Gala, ti va?" mi propose Edvige.
Annuii. (...)
Arrivati dall’altra parte entrammo in casa O’Sullivan. Era vuota. I piccoli e Bryan erano andati a passare la Pasqua da una zia Mi fece uno strano effetto. La cucina era come la ricordavo. L’attrezzatura da lavoro di Mrs Lucy era sparita dall’angolo della stufa. Né catino, né cumuli di panni sporchi. Né cenere per la liscivia. La tavola era coperta da una tovaglia a rose. Il mio schizzo di Matunaaga era appeso alla parete. Vicino ad un altro. Con un abbozzo di cavallo. 


Cavendish's Tea Room
Edvige mi aveva condotto a fare un giro turistico del lusso e del bello. Da Piccadilly a Bond Street. Voleva che mi togliessi dagli occhi la miseria di Oyster Lsne. (...) Stavamo percorrendo a piedi una strada di Knightsbridge. (...) Ad un tratto lei si fermò. "Eccoci arrivate" disse.
Eravamo davanti ad una costruzione elegante ed imponente. Sulla targa in ottone lucidato c'era scritto CAVENDISH'S TEA HOUSE.
(...) Un ragazzo biondo in livrea ci aprì la porta di legno scuro e cristallo. Un algida direttrice di sala ci venne incontro. La seguimmo finché non arrivammo ad un tavolino d'angolo. Quasi nascosto. 
Il locale era stupendo. I soffitti nella parte centrale erano decorati. Chiusi con vetri di piombo a motivi floreali.
Alzando la testa intravedevo pezzetti di cielo.
Sullo sfondo della sala due grandi vetrate davano sul giardino, ovunque ricorrevano i toni dell'oro e del rosa pesca. Sopratutto dell'oro. Tovaglie bianchissime ricoprivano i tavoli apparecchiati di tutto punto. Guarniti di fiori freschi. Sul nostro c'erano tre asfodeli in un vasetto cinese.
Un uomo in scuro suonava sommessamente un pianoforte a coda. 

La casa di Lady Modesty Queenooney
La carrozza girò intorno ad Harrods cambiando di nuovo direzione. Dopo poco Lord Van de Brock batté con il bastone sul tetto.
Ci fermammo.
Eravamo davanti a una villa dalle dimensioni ragguardevoli. Intonacata di bianco, aveva delle maestose inferriate nere. La porta d'ingresso era rosso fuoco, ed era costeggiata da uno smilzo giardino ben curato. Alzai lo sguardo e rimasi di stucco. L'edificio era sovrastato da un timpano blu cobalto con le fasi lunari. La luna piena era in oro scintillante.
Dennis osservò il timpano blu con le fasi lunari dorate.
"Inquietantisssimo" fu il primo commento.
(...) L'atrio della villa era gelido. Un camino scaldava l'amibirnrte. Nonostante ciò, mi sembrò di essere entrata nell'atrio di una caverna. 
I corridoi di quella casa parevano non finire mai. Più che una villa sembrava un mausoleo.
(...) Lady Queenooney mi scrutò attentamente. Rimase seduta sulla poltroncina al centro della stanza. (...) Lo studio era sui toni del blu di Persia. Qua è la erano disseminati piccoli mobili giapponesi. Mi soffermai stupita, su un particolare che mi risultava familiare. Sul muro, alle spalle della sua poltroncina, era appesa la Grande Onda di Hokusai.

La casa di Dennis
"Vengo a Londra di frequente, sai? Papà ha una casa a Beddington.
Anni fa mio padre dovette seguire l'allestimento di una sua mostra, alla Tate Modern.Cambiò dieci alberghi in una settimana. Lo soffocavano. Così un giorno compró casa. Di punto in bianco. Nuova. Appena finita. C'erano ancora dentro i pittori. Si trasferì là immediatamente. Non volle nemmeno arredarla. Mise solo un materasso sul pavimento. Disse che aveva visto troppa tappezzeria e moquette negli alberghi di Londra. Doveva disintossicarsi."
"E poi? Dopo la mostra?"
"Poi niente. Ci abito alcuni mesi. Fino a che rimase a Londra. Ora è vuota. Ci viene lui quando ha degli affari qui. Oppure io in vacanza. In questo momento ci sta mia zia..."

The White Horse and The Lady
Il lacchè di Lord Van de Brock aveva detto che il club esclusivo di sua grazia si chiamava The White Horse and The Lady. E che si trovava in una piccola traversa attorno a Piccadilly. Vi si accedeva attraverso una porta azzurra. Anonima. Il cocchiere faceva fatica a far manovra in quella strada, tanto era stretta.(...)
"Eccoci arrivati" disse Dennis dopo una decina di minuti.
L'entrata del club era davvero modesta. E anonima. Una porta azzurra. Un batacchio di rame ossidato. Nient'altro. La vettura si fermò davanti al club. Scese un uomo piuttosto anziano. Batté col bastone e attese. La porta venne aperta. L'uomo fu riconosciuto è fatto entrare. Mi infilai dietro di lui con fare disinvolto.
(...) Guardai Dennis alzando le spalle. Lui mi fece segno di entrare. Varcai la porta del club. Il piede mi affondò su un rapporto alto e morbido. Mezzo stivaletto sparì nelle fibre di cachemire a disegni esotici. L'entrata del club era intima. Sapeva di tabacco, cuoio, alcolici. Profumi maschili costosi. Si udivano voci soffocate provenire da una porta alla mia destra. Intravidi un corridoio e altre porte oltre due colonne di marmo. Il maggiordomo indicò un piccolo scrittoio. Era dotato di pennino, calamaio e carta monografica del club. Una H e una L in giallo zafferano si intersecavano graziosamente. Mi misi a scrivere.

Lo studio di Ipazia Price
"Santo Cielo" esclamai.
Era un salone, a pianta circolare.
Illuminato a giorno da quattro candelabri alle pareti. Posti simmetricamente in corrispondenza dei punti cardinali. E da uno che scendeva dal soffitto. Che sorreggeva una trentina di candele. Era una stanza di enormi proporzioni. Decorata in boiserie chiarissima. Con finiture in oro zecchino. E gruppi di piccoli angeli. A occhio e croce doveva avere un diametro ci una cinquantina di metri. Ed era piena zeppa all'inverosimile. Girai su me stessa un paio di volte. Alzai lo sguardo.
Il soffitto altissimo era affrescato. Sembrava un motivo rinascimentale.
A metà altezza i muri erano inframezzati da un ballatoio di legno. Che percorreva l'intera circonferenza del salone dividendo idealmente lo spazio in due piani. A piano terra, dove eravamo noi, una libreria cielo-terra copriva l'intera parete. Conteneva centinaia di volumi.
Mi avvicinai a leggere i dorsi dei libri. Trattavano di botanica, chimica e anatomia. C'erano anche parecchi erbari. Ogni argomento era classificato secondo un ordine maniacale. In un angolo venivano conservati dei preparati chimici. Nitrato di potassio. Nitrato d'argento. Cloruro di zinco. Cristalli di zolfo. E ancora paraffina. Sali di zinco. Acido Salonico. Idrossido di sodio.Formalina. Glicerina.
Notai che la boiserie era cosparsa di ugelli di ottone. A diverse altezze. Di Ipazia Price nessuna traccia. Eppure era evidente che quello fosse il suo spazio. Privatissimo. Esclusivo. Raffinato. (...) Al centro della stanza era stata posizionata una teca di cristallo contenente una mummia di donna. Poggiata di un sarcofago d'argento, alto un metro e mezzo.
Cavolo!
Quella stanza aveva qualcosa di irreale. Al di fuori del tempo e dello spazio. (...)
Intorno alla teca partivano a raggiera nove tavoli attrezzati con microscopi, provette e vetrini. Morsetti, lenti di ingrandimento con pinze telescopiche e altri strumenti per esperimenti scientifici. Sul tavolo accanto trovavano posto una serie di vasi trasparenti allineati. Contenevano una collezione completa di ragni e serpenti in formalina. Erano interessanti.
In altri recipienti di vetro erano immersi minuscoli cervelli. Gomiti. Mandibole. Stomaco. Pesci dalle forme incredibili. Una testa di babbuino. Su un altro tavolo ancora c'era una boccia nella quale fluttuava una serie di piccole cose che non riconobbi. Sembravano bozzoli di farfalle. Erano tanti. Più o meno una quarantina.
Sembravano...

La casa da te di Edvige 
Era un gioiello di decori e pulizia. Sulla targa di legno era inciso JENNINGS & O'SILLIVAN'S TEA HOUSE FOR WOMEN
E poi: VIENI DONNA, PAGHI TRE PENNY E BRVI TE A VOLONTÀ!
I vetri brillavano. Alcune tende bianche erano state infiliate in stecche di ottone dorato. A metà alterezza. Da sopra si poteva sbirciare il locale. E decidere in tutta libertà se entrare o meno.
Iniziai a correre, tenendomi la gonna in mano. Mi fermai a pochi metri dalle vetrine. Mrs Lucy era al bancone (...) Stava preparando un vassoio per una signora imbronciata. Ma non sembrava accorgersi del malumore della donna. Le sorrideva in modo squisito. Continuava a parlarle di non so cosa.
Lei terminò di incastrare nel vassoio i tazze, teiera e torta. Per finire aggiunse un vasetto con un mazzolino di margherite.
Poi si voltò per servire una giovane signora.
Appena si fu girata scorsi la mia invenzione. La caldaia. Era tale e quale a come ne l'ero immaginata. Il tubo di vapore acqueo fuoriusciva dal muro. Arrivava nella grossa caldaia di rame. Da lì usciva acqua calda attraverso un grazioso rubinetto.
E accanto, una batteria di teiere aspettavano solo di essere riempite. (...)
I tavoli erano quasi tutti occupati. Cinque donne aspettavano in coda di essere servite. Da dentro usciva un gran rumore fu chiacchiere e risate. (...)
L'arredamento era spartano, ma funzionale. Sopratutto sembrava decoroso e puliti. Una rarità per la zona. In più era anche economico.
E aggiungendoci anche un te di buona qualità e una fetta di torta...era fatta!


La città di Gala e altri luoghi 

Le grotte di Mirra 
Buio, caldo umido, silenzio.
Ero sola.
L'aria era spessa. Densa. Dovevo spingermi in avanti esercitando una certa forza. Come se mi muovessi in un elemento liquido. Sudavo. Per lo sforzo. Per la paura.
Mi si piegarono le ginocchia. Strinsi la torcia bella mano destra. La diressi verso l'interno. Altro buio.
Matunaaga mi aveva portato fino all'imboccatura. Da lì in poi si doveva proseguire senza accompagnatori.
La grotta di Mirra. Quello era il nome del posto. 
Ero entrata cautamente.
Chi avrei dovuto incontrare? Chi avrebbe dovuto valutare la mia crescita? Come avrei capito che era la persona giusta?
Avrei dovuto ammazzare un drago? Magari blu?
Sperai di no. Con tutto il cuore. Non ero quel tipo di ragazza.
Mossi alcuni passi assai lentamente.
Ahurgs! Dall'interno della grotta giunsero rumori raccapriccianti. Mi bloccai.
Cosa cavolo era stato? (...)
Matunaaga non mi avrebbe mai esposto al pericolo. Ma quei rumori non mi piacevano affatto.
Il caldo si trasformò in vento. Una folata improvvisascompigliò i miei capelli. Arrivava dalle mie spalle. Sembrava spingermi verso l'interno. 
Procedetti. Un passo davanti all'altro. I rumori sembravano provenire da lontano.
La grotta era umida. Le pareti erano lisce ma non regolari.
Sembrava un tunnel.
Ahurgs! I rumori ripresero. Più forti e più vicini. 
Una morsa di ferro attanagliò il mio corpo. Non rallentai. Mi costrinsi a pensare con calma. (...)
Sul fondo intravedevo ancora la luce del giorno che filtrava attraverso l'apertura. Matunaaga ora era solo una piccola ombra. Ma c'era. Se le cose si fossero messe male avrei potuto mettermi a correre per raggiungerlo. Non prima di aver avuto la mia sabbia. Ovviamente. 
La luce della torcia illuminò uno spazio sulla destra.
C'era un piccolo seggiolino.
Le istruzioni di Matunaaga erano state stringate. Non sprecava parole senza uno scopo precisi.
Sedetti.


Il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano
"Guarda Dennis è questo!" Esclamai. "Bingo! Cos'è, cioè da dove viene questa foto?"
Dennis si avvicinò al computer e lesse: "Collezione tecnico scientifiche, Museo "Leonardo da Vinci" di Milano. Progetto Ecbátana. Collezione privata"
"Il da Vinci è il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia. Mio padre ci andava spesso l'anno scorso" (...)
"Gala" esclamò Dennis strizzandomi l'occhio "anche tu pensi quello che penso io?" 
Scossi la testa. Non avevo la più pallida idea di cosa pensasse Dennis.
"Andiamo a Milano, Gala! Domani!" gridò culmine dell'entusiasmo. "Esaminiamo il telaio personalmente. Ricerca sul campo. Mi piiiace questa cosa. Che ne pensi?"
COSA? Andare a Milano l'indomani? "Sei matto. Mia madre non mi lascia saltare la scuola."
"Ah!... E se le diciamo che è proprio per la scuola?" Incalzò.


Il liceo artistico Modigliani

Ero in ritardo, avevo preso il tram sbagliato. Al Modigliani funzionava così. L’appello assegna-classi era fondamentale. Se non assistevi a quello, non sapevi dove sbattere la testa. Capii quel dettaglio troppo tardi. Chiesi indicazioni ai bidelli, niente. In segreteria, niente. Solo il vicepreside aveva la tabella delle classi. Ed era sparito. Girai la scuola alla ricerca di quell’uomo di cui non conoscevo neppure l’aspetto. Così constatai quanto fosse desolante quell’edificio. Dov’erano le zone relax, i posteggi delle bici? La caffetteria? La zona Wifi? Gli spazi verdi? Notai con sgomento che la strada passava così vicino alle aule che ci saremmo intossicati di polveri sottili prima della fine del trimestre. Al quarto piano inciampai in un bidello che dormicchiava in un angolo il quale mi insultò, gridando che lo avevo svegliato.

I "Pioppi"
(Questo pezzo è tratto da un inedito che l'autrice aveva scritto e pubblicato originariamente sul blog Atelier dei libri )

Il viale che si percorre per raggiungerla è lungo quasi mezzo chilometro, e parte dalla strada principale. Appena preso il viale dei Pioppi vi troverete ad attraversate un grande cancello dalle punte dorate. E poi viaggerete alcuni minuti nella campagna più bella che abbiate mai visto. Piena di alberi da frutto, giardini all’italiana, laghetti e ruscelli. All’improvviso si aprirà davanti ai vostri occhi un cortile dalle proporzioni ragguardevoli, in ghiaino. La costruzione che vedrete assomiglia a un forte sulle Alpi, avete presente quelli della prima Guerra Mondiale? Proprio così. In pietra, alto e compatto, con strette finestre. Nessun orpello inutile ad abbellirlo. Il portone sarà aperto, vi ci accompagnerei di mattina, ovviamente. Ecco, si intravede un cortile. Andiamo! Non abbiate timore. Fatti due passi incontrerete una lastra di onice a forma di tartaruga sulla quale sono incise le seguenti parole.
LE GIOVANI MENTI HANNO IL DOVERE UNIVERSALE DI ESPANDERSI IN OGNI DIREZIONE. QUALSIASI SFORZO DEBBANO SOSTENERE PER COMPIERE QUESTO SVILUPPO. IL METODO EGAD PREVEDE L’ESPULSIONE IMMEDIATA DI COLORO CHE NON GIUDICHINO IMPRESCINDIBILE ESPLORARE TALI SPAZI. Ma proseguiamo. Arrivati nel cortile interno accederete ad un atrio in acciaio e cristallo nel quale vi aspetterà il custode.



Scrivetemi i vostri commenti sul romanzo, sul post e sul blog tour! E non perdetevi la prossima tappa su AngelTany Blog!

10 commenti:

  1. Wow,bei luoghi!
    Sono rimasta colpita dalla camera di Gala e sul carrello mobile...un pò più lungo no...xD?

    RispondiElimina
  2. Cameretta di 45 mq...credo che il mio livello di attenzione si sia azzerato dopo quella battuta! xD

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La cameretta (?) ha sconvolto pure me durante la lettura: ho dovuto rileggere il pezzo due volte perché temevo di aver capito male ^_^'

      Elimina
  3. Oddio!! La casa di American Horror Story Stagione 1 *_* scusa, mi contengo subito. Tra tutti i luoghi toccati dal romanzo ho adorato il laboratorio di Ipazia (escludendo magari certi "abbellimenti" inseriti da lei xD) così come la casa di Gala, molto suggestiva *_* non parliamo delle dimensioni di quella "cameretta" - l'avrei sommersa di libri xD

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Credevo che nessuno avrebbe riconosciuto la casa di AHS ;) beccata ;)
      Vero, il laboratorio di Ipaxia è bellissimo se escludiamo certi particolari... ;) noi siamo interessate alla libreria dopotutto ;)
      Come non invidiare la casa di Gala???

      Elimina
  4. Che lavorone che hai fatto!! Brava :)

    RispondiElimina

Lasciate un commento se vi è piaciuto e meno questo post :)